REATI INFORMATICI
Tribunale di Milano: inviare una email diffamatoria ad un gruppo chiuso di destinatari integra il reato di diffamazione ma non si applica l'aggravante.
In estrema sintesi, all'imputato è contestato di avere diffamato il presidente di un club, a cui egli stesso era iscritto, tramite l'invio di un messaggio di posta elettronica indirizzato a tutti i membri dell'associazione nel quale la persona offesa veniva accusata di avere mal gestito l'ente sperperandone i fondi.
Il punto controverso che viene in rilievo nel caso di specie, pertanto, è se la posta elettronica possa o meno integrare un mezzo di pubblicità, equiparato alla stampa dal comma terzo dell'art. 595 c.p.
Sin dalla fine degli anni novanta, la giurisprudenza di legittimità si è interessata al problema delle diffamazioni via web, distinguendo tra i mezzi di comunicazione che possono raggiungere un numero indeterminato di destinatari (come i siti internet, i blog, i forum e più recentemente i social media) e quelli per loro natura diretti a soggetti specifici (come le e-mail o i messaggi in chat private).
In particolare, una sentenza resa dalla quinta Sezione della Corte di cassazione nell'anno 2000 ha distinto nettamente le due ipotesi. Si è affermato infatti che "nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o, appunto, e-mail, è necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari" mentre "nel caso in cui egli crei o utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes (sia pure nel ristretto - ma non troppo - ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi")". Partendo da tale premessa la Cassazione è giunta aalla conclusione che "l'utilizzo di internet integra una delle ipotesi aggravate di cui dell'art. 595 cp (comma terzo: "offesa recata... con qualsiasi altro mezzo di pubblicità"). Anche in questo caso, infatti, con tutta evidenza, la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l'agente meritevole di un più severo trattamento penale" (Cass., Sez. V, 17/11/2000, n. 4741).
La stessa sentenza ha poi escluso che la presenza di un indirizzo e-mail facente capo alla persona offesa nell'elenco dei destinatari del messaggio possa integrare il diverso reato di ingiuria, giacché, precisano altre sentenza successive, "il messaggio è diretto ad una cerchia talmente vasta di fruitori, che l'addebito lesivo si colloca in uno dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso" (Cass., Sez. V, 16/10/2012, n. 44980, Imp. Nastro).
Un contrasto interpretativo si registra però in relazione alla comunicazione diffusa mediante posta elettronica e indirizzata a una pluralità di destinatari: una prima opzione interpretativa, più logica, vede nell'invio a un numerus clausus di destinatari (per quanto potenzialmente elevatissimo) un elemento che esclude il mezzo di pubblicità; una seconda soluzione, invece, valorizzando la semplicità di comunicazioni che internet consente e la potenziale "vasta cerchia di fruitori" del contenuto digitale, riconosce alle condotte in esame un disvalore di ordine superiore. Proprio in questo ambito si colloca una pronuncia, sempre della quinta sezione della Cassazione, che ha riconosciuto l'applicabilità dell'aggravante di cui al terzo comma dell'art 595 c.p. in un caso di diffamazione tramite e-mail, facendo leva sul "particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica, con lo strumento del "forward" a pluralità di destinatari" (Cass., Sez. V , 06/04/2011, n. 29221, Imp. De Felice). La motivazione di tale sentenza però è apodittica e non fornisce alcuna spiegazione del motivo per cui lo strumento del forward, ossia dell'inoltro automatico di un messaggio a un elenco (sempre determinato) di soggetti dovrebbe integrare una forma di pubblicità diversa rispetto a quella costituita dall'invio del medesimo messaggio ad una cerchia preindividuata di destinatari, limitandosi solo ad evidenziarne la potenza diffusiva di tale strumento, tanto da definire il forward un "mezzo di pubblicità ... particolare e formidabile".
In questo quadro giurisprudenziale, si inserisce la pronuncia del Tribunale di Milano che, aderendo alla prima soluzione interpretativa poc'anzi illustrata, afferma che "la condotta di invio di una lettera o una e-mail ad un numero determinato di destinatari non è idonea ad integrare l'aggravante in esame, anche se inviata ad un numero cospicuo di persone".
Il giudice milanese definisce innanzitutto la casella di posta elettronica come "uno spazio riservato, messo a disposizione da un fornitore di servizi Internet, in cui vengono trasferiti per via telematica sul computer dell'utente i messaggi a lui diretti". Così definita la nozione di casella di posta elettronica, il giudice osserva che la forma di comunicazione via e-mail non differisce in modo sostanziale dai tradizionali mezzi di trasmissione delle comunicazioni scritte, quali il servizio postale o il telegrafo, se non per la mancanza di un supporto materiale cartaceo.
Aderendo a un orientamento oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Milano afferma poi che le forme di comunicazione in incertam personam ("rivolte ad una generalità indifferenziata e indeterminata di destinatari") sono le uniche che possono integrare l'aggravante ex art 595 co 3 c.p.
Il Tribunale richiama sul punto anche una recentissima pronuncia della prima Sezione della Corte di cassazione, che ha ritenuto la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall'utilizzo di una bacheca facebook idonea a integrare il mezzo di pubblicità, in quanto potenzialmente atta a raggiungere un numero indeterminato di persone (Cass., Sez. I, 28/04/2015, n. 24431). Tale sentenza ha ribadito che la condotta di invio di una lettera o una e-mail ad un numero determinato di destinatari non è idonea ad integrare l'aggravante in parola, anche se il contenuto è in concreto inviato ad un numero cospicuo di persone: tale circostanza "può infatti influire sulla gravità del fatto ai fini della determinazione in concreto della pena, a norma dell'art. 133 c.p., ma, in mancanza di un intervento legislativo, non può integrare l'aggravante", ostandovi il principio di tassatività e determinatezza delle fattispecie penali ed il divieto di analogia "in malam partem".
La validità di tale conclusione - osserva conclusivamente il giudice milanese - non può considerarsi scalfita neppure dalla sentenza De Felice sopra richiamata, che ha considerato un "particolare e formidabile mezzo di pubblicità" l'inoltro automatico di messaggi a una pluralità di destinatari, in quanto tale precedente concerneva "una fattispecie concreta particolare ... in cui evidentemente era presente il cd. sistema "forward", il quale consente di inoltrare automaticamente i messaggi in arrivo verso altri indirizzi e-mail (di cui non vi è traccia nel caso in esame)".
Esclusa la possibilità di applicare nel caso di specie l'aggravante di cui al terzo comma dell'art 595 c.p., il Tribunale di Milano ha dichiarato la propria incompetenza in favore del giudice di pace, ordinando la restituzione degli atti al pubblico ministero.
(Fonte: Rivista on line Diritto Penale Contemporaneo - disponibile su: www.penalecontemporaneo.it - Autore e Titolarità dei contenuti: Avv. Gianluca De Rosa).