REATI INFORMATICI
Corte di Cassazione: l'invio di PEC diffamatorie a più destinatari non integra in automatico l’aggravante.
Con la sentenza n. 31179 del 18 luglio 2023, la Cassazione - su un caso di diffamazione aggravata mediante invio di un messaggio via PEC a un gruppo di destinatari - esclude la sussistenza dell'aggravante ex art. 595, c. 3, c.p. (diffusione a mezzo stampa o medainte altri sistemi di pubblicità) ritenendo che la missiva diffamatoria fosse destinata ad un numero limitato di destinatari e non vi sia stata prova che le PEC di tali destinatari fossero fisiologicamente fruibili da una platea indistinta di soggetti.
Pertanto, cui non può individuarsi né la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa né dal mezzo di pubblicità. Il fatto che la mail fosse stata veicolata tramite internet non toglie nulla al fatto che essa fosse destinata ad un numero determinato e circoscritto di soggetti, non potendosi confondere il mezzo utilizzato per trasmettere la comunicazione (la PEC) con la diffusività della Rete Internet. L'invio di un messaggio a singole caselle di posta elettronica riservate, in quanto intestate a singoli utenti, non implica affatto alcuna automatica diffusione ad un numero indeterminato di soggetti.
Nelle sue argomentazioni riprende la giurisprudenza creatasi sul tema ribadendo che «la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata (PEC) di messaggi contenenti espressioni lesive de/l'altrui reputazione integra il reato di diffamazione aggravata anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo 'mail: in quanto la certificazione garantisce la prova dell'invio e della consegna della comunicazione ma non ne esclude di per sé la potenziale accessibilità a terzi diversi dal destinatario a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, per la cui prevedibilità in concreto è richiesto, tuttavia, un rafforzato onere di giustificazione». Dunque, l'invio di una mail diffamatoria su una casella di posta elettronica potenzialmente accessibile da più soggetti (come quelle istituzionali consultabili non solo dal destinatario, ma anche dagli addetti alla corrispondenza) integra l'aggravante stessa.
Tuttavia, precisa la Cassazione, «la possibilità che la riservatezza della posta elettronica possa essere violata non significa affatto la trasformazione del mezzo in un veicolo di pubblicità in tutti i casi in cui esso venga usato, posto che proprio le potenzialità del mezzo stesso consentono di individuarne una qualificazione come sistema di pubblicità (siti web e social network, facebook, ecc.) ed un uso esclusivamente privato, non potendo una eventuale patologia incidere su tale distinzione».
Pertanto, cui non può individuarsi né la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa né dal mezzo di pubblicità. Il fatto che la mail fosse stata veicolata tramite internet non toglie nulla al fatto che essa fosse destinata ad un numero determinato e circoscritto di soggetti, non potendosi confondere il mezzo utilizzato per trasmettere la comunicazione (la PEC) con la diffusività della Rete Internet. L'invio di un messaggio a singole caselle di posta elettronica riservate, in quanto intestate a singoli utenti, non implica affatto alcuna automatica diffusione ad un numero indeterminato di soggetti.
Nelle sue argomentazioni riprende la giurisprudenza creatasi sul tema ribadendo che «la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata (PEC) di messaggi contenenti espressioni lesive de/l'altrui reputazione integra il reato di diffamazione aggravata anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo 'mail: in quanto la certificazione garantisce la prova dell'invio e della consegna della comunicazione ma non ne esclude di per sé la potenziale accessibilità a terzi diversi dal destinatario a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, per la cui prevedibilità in concreto è richiesto, tuttavia, un rafforzato onere di giustificazione». Dunque, l'invio di una mail diffamatoria su una casella di posta elettronica potenzialmente accessibile da più soggetti (come quelle istituzionali consultabili non solo dal destinatario, ma anche dagli addetti alla corrispondenza) integra l'aggravante stessa.
Tuttavia, precisa la Cassazione, «la possibilità che la riservatezza della posta elettronica possa essere violata non significa affatto la trasformazione del mezzo in un veicolo di pubblicità in tutti i casi in cui esso venga usato, posto che proprio le potenzialità del mezzo stesso consentono di individuarne una qualificazione come sistema di pubblicità (siti web e social network, facebook, ecc.) ed un uso esclusivamente privato, non potendo una eventuale patologia incidere su tale distinzione».