REATI INFORMATICI
Revenge porn: la diffusione del materiale deve essere realizzata solo da chi ha fatto le riprese o se ne è indebitamente impossessato.
La controversia in esame ha ad oggetto il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti ex art. 612-ter c.p., comunemente indicato utilizzando l'espressione “revenge porn”.
Tizio ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata sostenendo che la diffusione «deve intervenire senza il consenso delle persone rappresentate e deve riguardare materiali sessualmente espliciti destinati a rimanere privati, ma, come più volte osservato, realizzati consensualmente, tant'è che la condotta può essere realizzata solo da chi ha operato la ripresa o da chi se ne è indebitamente impossessato, sottraendola a chi l'aveva realizzata».
Nel caso in esame, invece, la ripresa era stata frutto di intercettazione ambientale eseguita dall'A.G. a totale insaputa dei soggetti ripresi, per cui, salva la violazione del principio di legalità e tassatività, essa non può essere considerata alla stregua del materiale indicato dai commi primo e terzo dell'art. 612-ter c.p..
In sede di legittimità, la Suprema Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza del 20 giugno 2024, n. 24379 ripercorre anzitutto il fenomeno del “revenge porn”, a cui il nostro Legislatore ha risposto con l'introduzione nel Codice penale dell'art. 612-ter, approvato con un emendamento alla Legge n. 69/2019, il cd. “Codice Rosso”.
Come emerge dal testo normativo, «la norma non solo richiede l'assenza di consenso, ma anche che le immagini o i video siano "destinati a rimanere privati", come se, si è osservato in dottrina, ancor prima dell'assenza di consenso alla divulgazione, vi sia la rottura di un pactum fiduciae tra due individui, presumibilmente legati da una relazione, tale da aver impresso una precisa destinazione ai contenuti, poi disattesa da uno dei due».
Quanto al motivo di ricorso sopra specificato, la Suprema Corte lo ritiene fondato.
In virtù dell'evoluzione ermeneutica delle condotte e della latitudine del sintagma revenge porn, la Corte ritiene che la condotta incriminata sia più ampia di quella realizzata unicamente nell'ambito di un pregresso rapporto sentimentale, nel cui contesto si sia verificato un utilizzo diverso del materiale originariamente destinato a rimanere circoscritto e riservato. Depone a favore di tale orientamento la rubrica della norma, la quale delinea la rilevanza penale della diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, senza alcun riferimento ad uno specifico contesto di pregressa relazione sentimentale.
Ciò detto, la Cassazione ribadisce i due requisiti che devono sussistere entrambi contemporaneamente: la mancanza di consenso e la destinazione privata, intesa come formazione del materiale ad opera degli stessi soggetti che vi sono rappresentati. Pertanto, è necessario che l'autore della condotta di diffusione del di tale materiale sia colui che aveva in precedenza realizzato il detto materiale, o se ne era impossessato sottraendolo.
Tali requisiti non risultano ricorrere nel caso in esame, in quanto l'autore del fatto è un soggetto del tutto diverso da colui che aveva realizzato il materiale, né risulta che egli se ne sia appropriato sottraendolo.
Per questi motivi la Cassazione accoglie il ricorso.
Tizio ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata sostenendo che la diffusione «deve intervenire senza il consenso delle persone rappresentate e deve riguardare materiali sessualmente espliciti destinati a rimanere privati, ma, come più volte osservato, realizzati consensualmente, tant'è che la condotta può essere realizzata solo da chi ha operato la ripresa o da chi se ne è indebitamente impossessato, sottraendola a chi l'aveva realizzata».
Nel caso in esame, invece, la ripresa era stata frutto di intercettazione ambientale eseguita dall'A.G. a totale insaputa dei soggetti ripresi, per cui, salva la violazione del principio di legalità e tassatività, essa non può essere considerata alla stregua del materiale indicato dai commi primo e terzo dell'art. 612-ter c.p..
In sede di legittimità, la Suprema Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza del 20 giugno 2024, n. 24379 ripercorre anzitutto il fenomeno del “revenge porn”, a cui il nostro Legislatore ha risposto con l'introduzione nel Codice penale dell'art. 612-ter, approvato con un emendamento alla Legge n. 69/2019, il cd. “Codice Rosso”.
Come emerge dal testo normativo, «la norma non solo richiede l'assenza di consenso, ma anche che le immagini o i video siano "destinati a rimanere privati", come se, si è osservato in dottrina, ancor prima dell'assenza di consenso alla divulgazione, vi sia la rottura di un pactum fiduciae tra due individui, presumibilmente legati da una relazione, tale da aver impresso una precisa destinazione ai contenuti, poi disattesa da uno dei due».
Quanto al motivo di ricorso sopra specificato, la Suprema Corte lo ritiene fondato.
In virtù dell'evoluzione ermeneutica delle condotte e della latitudine del sintagma revenge porn, la Corte ritiene che la condotta incriminata sia più ampia di quella realizzata unicamente nell'ambito di un pregresso rapporto sentimentale, nel cui contesto si sia verificato un utilizzo diverso del materiale originariamente destinato a rimanere circoscritto e riservato. Depone a favore di tale orientamento la rubrica della norma, la quale delinea la rilevanza penale della diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, senza alcun riferimento ad uno specifico contesto di pregressa relazione sentimentale.
Ciò detto, la Cassazione ribadisce i due requisiti che devono sussistere entrambi contemporaneamente: la mancanza di consenso e la destinazione privata, intesa come formazione del materiale ad opera degli stessi soggetti che vi sono rappresentati. Pertanto, è necessario che l'autore della condotta di diffusione del di tale materiale sia colui che aveva in precedenza realizzato il detto materiale, o se ne era impossessato sottraendolo.
Tali requisiti non risultano ricorrere nel caso in esame, in quanto l'autore del fatto è un soggetto del tutto diverso da colui che aveva realizzato il materiale, né risulta che egli se ne sia appropriato sottraendolo.
Per questi motivi la Cassazione accoglie il ricorso.