TUTELA DEI DATI PERSONALI
Violazione della privacy: la Cassazione spiega quando è possibile ottenere il risarcimento del danno.
Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 15 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice della Privacy), non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” - concernente il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, quale intimamente legato ai diritti ed alle libertà indicate dall'art. 2 del Codice, convergenti tutti funzionalmente alla tutela piena della persona umana e della sua dignità - e di “serietà del danno” - quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato - che, in linea generale, si richiede in applicazione dell'art. 2059 cod. civ. nelle ipotesi di pregiudizio inferto ai diritti inviolabili previsti in Costituzione. Ciò in quanto, anche nella fattispecie di danno non patrimoniale di cui al citato art. 15, opera il bilanciamento (siccome pienamente consentito all'interprete dal modo in cui si è realizzata nello specifico l'interpositio legislatoris) del diritto tutelato da detta disposizione con il principio di solidarietà - di cui il principio di tolleranza è intrinseco precipitato - il quale, nella sua immanente configurazione costituisce il punto di mediazione che permette all'ordinamento di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito di una concreta comunità di persone che deve affrontare i costi di una esistenza collettiva. L'accertamento di fatto rimesso, a tal fine, al giudice del merito, in forza di previe allegazioni e di coerenti istanze istruttorie di parte, dovrà essere ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale, dovendo l'indagine, illuminata dal bilanciamento anzidetto, proiettarsi sugli aspetti contingenti dell'offesa e sulla singolarità delle perdite personali verificatesi. Un siffatto accertamento - che, ove l'offesa non superi la soglia minima di tollerabilità o il danno sia futile, può condurre anche ad escludere la possibilità di somministrare il risarcimento del danno - è come tale sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato.
Tale il principio di diritto espressamente enunciato dal giudice di legittimità in una recente pronuncia. Nel caso di specie, tre studenti specializzandi si erano rivolti al giudice per ottenere la tutela del proprio diritto alla riservatezza violato dall'illecito trattamento, ad opera di una Università, dei rispettivi dati personali. In particolare, la lesione si risolveva nella possibilità di accedere, attraverso la Rete, al nominativo di migliaia di studenti, tra cui i ricorrenti, con evidenziazione dei relativi dati personali, ovvero, generalità, codice fiscale, attività di studio, posizione lavorativa e retributiva. Il tribunale adito, accoglieva la domanda dei ricorrenti, disponendo la cancellazione dal web dei dati personali ed identificativi dei medesimi, inibendone la diffusione all'Ateneo resistente e condannando, altresì, quest'ultimo al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dagli stessi attori. La Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata. In particolare, il giudice del merito, precisa la Cassazione, in sede di accertamento del danno non patrimoniale poi liquidato ai ricorrenti ex art. 152 del Codice della Privacy, ha fatto riferimento al mero “disagio conseguente alla propria (indiscriminata) esposizione personale anche di carattere economico”, mancando, altresì, di rendere pienamente intellegibile lo sviluppo dei criteri che hanno guidato un tale giudizio, il quale, come sopra evidenziato in linea di principio, avrebbe dovuto formarsi all'esito di una verifica in concreto circa la gravità della lesione e la serietà del danno.
Cassazione civile, Sezione III, sentenza 15 luglio 2014, n. 16133