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Corte Suprema di Cassazione: diffamazione on line e aggravante del mezzo di pubblicità applicabile ai diversi social media (sì a WhatsApp, no a Facebook).

La sentenza n. 42783/ 2024 emessa dalla Corte di Cassazione ha affrontato per la prima volta il tema della diversa potenzialità lesiva dei social media nel reato di diffamazione, stabilendo che non tutti i social media hanno la stessa capacità di raggiungere un pubblico più o meno ampio di destinatari.

La Suprema Corte, se - da un lato - ha confermato che i post diffamatori pubblicati su Facebook integrano l’aggravante del mezzo pubblicitario stante “l’oggettiva potenzialità che, in tal caso, ha il testo lesivo di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”, dall’altro laro ha chiarito che - solo relativamente all’aggravante - occorre distinguere tra social network/media (Facebook) e una chat rivolta ad un numero ristretto di persone (Gruppo WhatsApp) poiché “ad essere rilevante, invero, non è il numero di iscritti alla chat quanto la ‘conformazione tecnica’ del mezzo, tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta - in tutta evidenza - riservato. La diffusione del messaggio a più soggetti - gli iscritti alla chat - avviene, in altre parole, in un contesto informatico che se da un lato consente la rapida divulgazione del testo, dall'altro non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone”
 
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